Novella Sesta
[Voice: fiammetta]
[001]
Il
re Carlo
vecchio, vittorioso, d'una
giovinetta
innamoratosi, vergognandosi del suo folle pensiero, lei e una sua sorella onorevolmente marita.
[002]
Chi potrebbe pienamente raccontare i varii ragionamenti tralle donne stati, qual maggior liberalità usasse, o
Gilberto
o
messer Ansaldo
o
il nigromante
, intorno a' fatti di
madonna Dianora
? Troppo sarebbe lungo. Ma poi che
il re
alquanto disputare ebbe conceduto, alla
Fiammetta
guardando, comandò che novellando traesse lor di quistione; la quale, niuno indugio preso, incominciò:
[003]
Splendide donne, io fui sempre in opinione che nelle brigate, come la nostra è, si dovesse sí largamente ragionare, che la troppa strettezza della intenzion delle cose dette non fosse altrui materia di disputare: il che molto piú si conviene nelle scuole tra gli studianti che tra noi, le quali appena alla rocca e al fuso bastiamo.
[004]
E per ciò io, che in animo alcuna cosa dubbiosa forse avea, veggendovi per le già dette alla mischia, quella lascerò stare e una ne dirò, non mica d'uomo di poco affare ma d'un valoroso re, quello che egli cavallerescamente operasse in nulla movendo il suo onore.
[005]
Ciascuna di voi molte volte può avere udito ricordare
il re Carlo
vecchio o ver primo, per la cui magnifica impresa e poi per la gloriosa vittoria avuta del
re Manfredi
furon di
Firenze
i ghibellin cacciati e ritornaronvi i guelfi. Per la qual cosa un cavalier, chiamato
messer Neri degli Uberti
, con tutta la sua famiglia e con molti denari uscendone, non si volle altrove che sotto le braccia del
re Carlo
riducere.
[006]
E per essere in solitario luogo e quivi finire in riposo la vita sua, a
Castello da mare di Stabia
se n'andò; e ivi forse una balestrata rimosso dall'altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de' quali la contrada è abondevole, comperò una possessione, sopra la quale un bel
casamento
e agiato fece e allato a quello un dilettevole
giardino
, nel mezzo del quale, a nostro modo, avendo d'acqua viva copia, fece un bel vivaio e chiaro e quello di molto pesce riempié leggiermente.
[007]
E a niun'altra cosa attendendo che a fare ogni dí piú bello il suo giardino, avvenne che
il re Carlo
, nel tempo caldo, per riposarsi alquanto a
Castello
a mar se n'andò; dove udita la bellezza del
giardino
di
messer Neri
disiderò di vederlo. E avendo udito di cui era, pensò che, per ciò che di parte avversa alla sua era
il cavaliere
, piú familiarmente con lui si volesse fare: e mandogli a dire che con quattro
compagni
chetamente la seguente sera con lui voleva cenare nel suo giardino.
[008]
Il che a
messer Neri
fu molto caro, e magnificamente avendo apparecchiato e con la sua famiglia avendo ordinato ciò che far si dovesse, come piú lietamente poté e seppe
il re
nel suo bel giardino ricevette.
[009]
Il qual, poi che il giardin tutto e la casa di
messer Neri
ebbe veduta e commendata, essendo le tavole messe allato al vivaio, a una di quelle, lavato, si mise a sedere, e al
conte Guido di Monforte
, che l'un de' compagni era, comandò che dall'un de' lati di lui sedesse e
messer Neri
dall'altro, e a altri tre che con loro erano venuti comandò che servissero secondo l'ordine posto da messer Neri.
[010]
Le vivande vi vennero dilicate, e i vini vi furono ottimi e preziosi, e l'ordine bello e laudevole molto senza alcun sentore e senza noia: il che il re commendò molto.
[011]
E mangiando egli lietamente e del luogo solitario giovandogli, e nel
giardino
entrarono due
giovinette
d'età forse di quindici anni l'una, bionde come fila d'oro e co' capelli tutti inanellati e sopr'essi sciolti una leggier ghirlandetta di provinca, e nelli lor visi piú tosto agnoli parevan che altra cosa, tanto gli avevan dilicati e belli; e eran vestite d'un vestimento di lino sottilissimo e bianco come neve in su le carni, il quale dalla cintura in su era strettissimo e da indi 'n giú largo a guisa d'un padiglione e lungo infino a' piedi.
[012]
E quella che dinanzi veniva recava in su le spalle un paio di vangaiuole, le quali colla sinistra man tenea, e nella destra aveva un baston lungo; l'altra che veniva appresso, aveva sopra la spalla sinistra una padella e sotto quel braccio medesimo un fascetto di legne e nella mano un trepiede, e nell'altra mano uno utel d'olio e una facellina accesa; le quali
il re
vedendo si maravigliò e sospeso attese quello che questo volesse dire.
[013]
Le giovinette
, venute innanzi onestamente e vergognose, fecero la reverenzia al
re
; e appresso, là andatesene onde nel vivaio s'entrava, quella che la padella aveva, postala giú e l'altre cose appresso, preso il baston che l'altra portava, e amendune nel vivaio, l'acqua del quale loro infino al petto aggiugnea, se n'entrarono.
[014]
Uno de'
famigliari
di
messer Neri
prestamente quivi accese il fuoco e, posta la padella sopra il treppiè e dell'olio messovi, cominciò a aspettare che le giovani gli gittasser del pesce.
[015]
Delle quali l'una frugando in quelle parti dove sapeva che i pesci si nascondevano e l'altra le vangaiuole parando, con grandissimo piacere del re che ciò attentamente guardava, in piccolo spazio di tempo presero pesce assai; e al famigliar gittatine, che quasi vivi nella padella gli metteva, sí come ammaestrate erano state cominciarono a prendere de' piú belli e a gittare su per la tavola davanti al re e al
conte Guido
e al
padre
.
[016]
Questi pesci su per la mensa guizzavano, di che il re aveva maraviglioso piacere; e similmente egli prendendo di questi alle giovani cortesemente gli gittava indietro, e cosí per alquanto spazio cianciarono, tanto che il famigliare quello ebbe cotto che dato gli era stato; il qual, piú per uno intramettere che per molto cara o dilettevol vivanda avendol
messer Neri
ordinato, fu messo davanti al re.
[017]
Le fanciulle
, veggendo il pesce cotto e avendo assai pescato, essendosi tutto il bianco vestimento e sottile loro appiccato alle carni né quasi cosa alcuna del dilicato lor corpo celando, usciron del vivaio; e ciascuna le cose recate avendo riprese, davanti al
re
vergognosamente passando, in casa se ne tornarono.
[018]
Il re e
'l conte
e gli altri, che servivano, avevano molto queste giovinette considerate, e molto in sé medesimo l'avea lodate ciascuno per belle e per ben fatte, e oltre a ciò per piacevoli e per costumate; ma sopra a ogn'altro erano al re piaciute, il quale sí attentamente ogni parte del corpo loro aveva considerata, uscendo esse dell'acqua, che chi allora l'avesse punto non si sarebbe sentito.
[019]
E piú a loro ripensando, senza saper chi si fossero né come, si sentí nel cuore destare un ferventissimo disidero di piacer loro, per lo quale assai ben conobbe sé divenire innamorato se guardia non se ne prendesse; né sapeva egli stesso qual di lor due si fosse quella che piú gli piacesse, sí era di tutte cose l'una simiglievole all'altra.
[020]
Ma poi che alquanto fu sopra questo pensier dimorato, rivolto a
messer Neri
il domandò chi fossero le due damigelle; a cui
messer Neri
rispose:
Monsignore
, queste son mie figliuole a un medesimo parto nate, delle quali l'una ha nome
Ginevra la bella
e l'altra
Isotta la bionda
. A cui
il re
le commendò molto, confortandolo a maritarle: dal che
messer Neri
, per piú non poter, si scusò.
[021]
E in questo, niuna cosa fuor che le frutte restando a dar nella cena, vennero
le due giovinette
in due giubbe di zendado bellissime, con due grandissimi piattelli d'argento in mano pieni di vari frutti, secondo che la stagion portava, e quegli davanti al
re
posarono sopra la tavola.
[022]
E questo fatto, alquanto indietro tiratesi, cominciarono a cantare un suono le cui parole cominciano:
Là ov'io son giunto, Amore,
non si poria contare lungamente,
con tanta dolcezza e sí piacevolmente, che al
re
, che con diletto le riguardava e ascoltava, pareva che tutte le gerarcie degli angeli quivi fossero discese a cantare; e quel detto, inginocchiatesi, reverentemente commiato domandarono dal re, il quale, ancora che la lor partita gli gravasse, pure in vista lietamente il diede.
[023]
Finita adunque la cena e il re co' suoi
compagni
, rimontati a cavallo e
messer Neri
lasciato, ragionando d'una cosa e d'altra al reale
ostiere
se ne tornarono.
[024]
Quivi, tenendo
il re
la sua affezion nascosa né per grande affare che sopravvenisse potendo dimenticar la bellezza e la piacevolezza di
Ginevra la bella
, per amor di cui la
sorella
a lei simigliante ancora amava, sí nell'amorose panie s'invescò, che quasi a altro pensar non poteva: e altre cagioni dimostrando, con
messer Neri
teneva una stretta dimestichezza e assai sovente il suo bel
giardin
visitava per vedere la
Ginevra
.
[025]
E già piú avanti sofferir non potendo e essendogli, non sappiendo altro modo vedere, nel pensier caduto di dover non solamente l'una ma amendune le giovinette al padre torre, e il suo amore e la sua intenzione fé manifesta al
conte Guido
.
[026]
Il quale, per ciò che valente uomo era, gli disse:
Monsignore
, io ho gran maraviglia di ciò che voi mi dite, e tanto ne l'ho maggiore che un altro non avrebbe, quanto mi par meglio dalla vostra fanciullezza infino a questo dí avere i vostri costumi conosciuti che alcun altro.
[027]
E non essendomi paruto già mai nella vostra giovanezza, nella quale
Amor
piú leggiermente doveva i suoi artigli ficcare, aver tal passion conosciuta, sentendovi ora che già siete alla vecchiezza vicino, m'è sí nuovo e sí strano che voi per amore amiate, che quasi un miracol mi pare.
[028]
E se a me di ciò cadesse il riprendervi, io so bene ciò che io ve ne direi, avendo riguardo che voi ancora siete con l'arme indosso nel regno nuovamente acquistato, tra nazion non conosciuta e piena d'inganni e di tradimenti, e tutto occupato di grandissime sollicitudini e d'alto affare, né ancora vi siete potuto porre a sed ere: e intra tante cose abbiate fatto luogo al lusinghevole amore.
[029]
Questo non è atto di re magnanimo anzi d'un pusillanimo giovinetto. E oltre a questo, che è molto peggio, dite che diliberato avete torre le due figliuole al povero
cavaliere
il quale in casa sua oltre al poter suo v'ha onorato, e per piú onorarvi quelle quasi ignude v'ha dimostrate, testificando per quello quanta sia la fede che egli ha in voi, e che esso fermamente creda voi essere re e non lupo rapace.
[030]
Ora èvvi cosí tosto della memoria caduto le violenze fatte alle donne da
Manfredi
avervi l'entrata aperta in questo regno? qual tradimento si commise già mai piú degno d'eterno supplicio, che saria questo, che voi a colui che v'onora togliate il suo onore e la sua speranza e la sua consolazione? che si direbbe di voi se voi il faceste?
[031]
Voi forse estimate che sufficiente scusa fosse il dire: 'Io il feci per ciò che egli è ghibellino'. Ora è questa della giustizia del re, che coloro che nelle lor braccia ricorrono in cotal forma, chi che essi si sieno, in cosí fatta guisa si trattino?
[032]
Io vi ricordo, re, che grandissima gloria v'è aver vinto
Manfredi
, ma molto maggiore è se medesimo vincere; e per ciò voi, che avete gli altri a correggere, vincete voi medesimo e questo appetito raffrenate, né vogliate con cosí fatta macchia ciò che gloriosamente acquistato avete guastare
.
[033]
Queste parole amaramente punsero l'animo del
re
e tanto piú l'afflissero quanto piú vere le conoscea; per che, dopo alcun caldo sospiro, disse:
Conte
, per certo ogn'altro nimico, quantunque forte, estimo che sia al bene ammaestrato guerriere assai debole e agevole a vincere a rispetto del suo medesimo appetito; ma quantunque l'affanno sia grande e la forza bisogni inestimabile, sí m'hanno le vostre parole spronato, che conviene, avanti che troppi giorni trapassino, che io vi faccia per opera vedere che, come io so altrui vincere, cosí similmente so a me medesimo soprastare
.
[034]
Né molti giorni appresso a queste parole passarono che tornato
il re
a
Napoli
, sí per torre a sé materia d'operar vilmente alcuna cosa e sí per premiare
il cavaliere
dello onore ricevuto da lui, quantunque duro gli fosse il fare altrui possessor di quello che egli sommamente per sé disiderava, nondimen si dispose di voler maritare
le due giovani
, e non come figliuole di
messer Neri
ma come sue.
[035]
E con piacer di
messer Neri
, magnificamente dotatele,
Ginevra la bella
diede a
messer Maffeo da Palizzi
e
Isotta la bionda
a
messer Guiglielmo della Magna
, nobili cavalieri e gran baron ciascuno; e loro assegnatele, con dolore inestimabile in
Puglia
se n'andò, e con fatiche continue tanto e sí macerò il suo fiero appetito, che, spezzate e rotte l'amorose catene, per quanto viver dovea libero rimase da tal passione.
[036]
Saranno forse di quei che diranno piccola cosa essere a un re l'aver maritate duo giovinette, e io il consentirò; ma molto grande e grandissima la dirò, se diremo un re innamorato questo abbia fatto, colei maritando cui egli amava, senza aver preso a pigliare del suo amore fronda o fiore o frutto. Cosí adunque
il magnifico re
operò,
il nobile cavaliere
altamente premiando, l'amate
giovinette
laudevolmente onorando e se medesimo fortemente vincendo.