Novella Decima
Novella Decima
[Voice: dioneo]
[001]
[002]
Il ragionare della
[003] Io non so se io mi dica che sia accidental vizio e per malvagità di costume ne' mortali sopravenuto, o se pure è della natura peccato, il rider piú tosto delle cattive cose che delle buone opere, e spezialmente quando quelle cotali a noi non pertengono. [004] E per ciò che la fatica, la quale altra volta ho impresa e ora son per pigliare, a niuno altro fine riguarda se non a dovervi torre malinconia, e riso e allegrezza porgervi, quantunque la materia della mia seguente novella, innamorate giovani, sia in parte men che onesta, però che diletto può porgere, ve la pur dirò. [005] E voi, ascoltandola, quello ne fate che usate siete di fare quando ne' giardini entrate, che, distesa la dilicata mano, cogliete le rose e lasciate le spine stare: il che farete lasciando il cattivo uomo con la mala ventura stare con la sua disonestà, e liete riderete degli amorosi inganni della sua donna, compassione avendo all'altrui sciagure dove bisogna.
[006]
Fu in
[008]
Il che
Questo dolente abbandona me per volere con le sue disonestà andare in zoccoli per l'asciutto, e io m'ingegnerò di portare altrui in nave per lo piovoso.
[010]
Io il presi per marito e diedigli grande e buona dota sappiendo che egli era uomo e credendol vago di quello che sono e deono esser vaghi gli uomini; e se io non avessi creduto ch'e' fosse stato uomo, io non l'avrei mai preso.
[011]
Egli che sapeva che io era femina, perché per moglie mi prendeva se le femine contro all'animo gli erano? Questo non è da sofferire.
[012]
Se io non avessi voluto essere al mondo, io mi sarei fatta monaca; e volendoci essere, come io voglio e sono, se io aspetterò diletto o piacere di costui, io potrò per avventura invano aspettando invecchiare; e quando io sarò vecchia, ravedendomi, indarno mi dorrò d'avere la mia giovinezza perduta, alla qual dover consolare m'è egli assai buon maestro e dimostratore in farmi dilettare di quello che egli si diletta.
[013]
Il qual diletto fia a me laudevole, dove biasimevole è forte a lui; io offenderò le leggi sole, dove egli offende le leggi e la natura.
[014]
Avendo adunque la buona donna cosí fatto pensiero avuto, e forse piú d'una volta, per dare segretamente a ciò effetto si dimesticò con una
Figliuola mia, sallo Idio, che sa tutte le cose, che tu molto ben fai; e quando per niuna altra cosa il facessi, sí il dovresti far tu e ciascuna giovane per non perdere il tempo della vostra giovanezza, per ciò che niun dolore è pari a quello, a chi conoscimento ha, che è a avere il tempo perduto.
[016]
E da che diavol siam noi poi, da che noi siam vecchie, se non da guardar la cenere intorno al focolare? Se niuna il sa o ne può rendere testimonianza, io sono una di quelle: che ora, che vecchia sono, non senza grandissime e amare punture d'animo conosco, e senza pro, il tempo che andar lasciai:
[017]
e bene che io nol perdessi tutto, ché non vorrei che tu credessi che io fossi stata una milensa, io pur non feci ciò che io avrei potuto fare, di che quand'io mi ricordo, veggendomi fatta come tu mi vedi, che non troverei chi mi desse fuoco a cencio, Dio il sa che dolore io sento.
[018]
Degli uomini non avvien cosí: essi nascono buoni a mille cose, non pure a questa, e la maggior parte sono da molto piú vecchi che giovani; ma le femine a niuna altra cosa che a far questo e figliuoli ci nascono, e per questo son tenute care.
[019]
E se tu non te ne avvedessi a altro, sí te ne dei tu avvedere a questo, che noi siam sempre apparecchiate a ciò, che degli uomini non avviene: e oltre a questo una femina stancherebbe molti uomini, dove molti uomini non possono una femina stancare. E per ciò che a questo siam nate, da capo ti dico che tu farai molto bene a rendere al marito tuo pan per focaccia, sí che l'anima tua non abbia in vecchiezza che rimproverare alle carni.
[020]
Di questo mondo ha ciascun tanto quanto egli se ne toglie, e spezialmente le femine, alle quali si conviene troppo piú d'adoperare il tempo quando l'hanno che agli uomini, per ciò che tu puoi vedere, quando c'invecchiamo, né marito né altri ci vuol vedere anzi ci cacciano in cucina a dir delle favole con la gatta e annoverare le pentole e le scodelle;
[021]
e peggio, che noi siamo messe in canzone e dicono:
e fece fine.
'Alle giovani i buon bocconi, e alle vecchie gli stranguglioni,'
e altre lor cose assai ancora dicono.
[022]
E acciò che io non ti tenga piú in parole, ti dico infino ad ora che tu non potevi a persona del mondo scoprire l'animo tuo che piú utile ti fosse di me, per ciò che egli non è alcun sí forbito, al quale io non ardisca di dire ciò che bisogna, né sí duro o zotico, che io non ammorbidisca bene e rechilo a ciò che io vorrò.
[023]
Fa pure che tu mi mostri qual ti piace, e lascia poscia fare a me: ma una cosa ti ricordo, figliuola mia, che io ti sia raccomandata per ciò che io son povera persona, e io voglio infino a ora che tu sii partefice di tutte le mie perdonanze e di quanti paternostri io dico, acciò che Idio gli faccia lume e candela a' morti tuoi;
[024]
Rimase adunque la
[026]
Avvenne che, dovendo una sera andare a cena il marito con un suo amico, il quale aveva nome
[029]
Al quale entrato in casa
Molto tosto l'avete voi trangugiata, questa cena.
[030]
Non l'abbiam noi assaggiata.
[031]
E come è stato cosí?
disse la donna.
[032]
Dirolti. Essendo noi già posti a tavola,
Questo che vuol dire? Chi è questi che cosí starnutisce?
; e levatosi da tavola, andò verso una scala la quale assai vicina n'era, sotto la quale era un chiuso di tavole vicino al piè della scala, da riporvi, chi avesse voluto, alcuna cosa, come tutto dí veggiamo che fanno far coloro che le lor case acconciano.
[035]
E parendogli che di quindi venisse il suono dello starnuto, aperse un usciuolo il qual v'era; e come aperto l'ebbe, subitamente n'uscí fuori il maggior puzzo di solfo del mondo, benché davanti, essendocene venuto puzzo e ramaricaticene, aveva detto la
Egli è che dianzi io imbiancai miei veli col solfo, e poi la tegghiuzza, sopra la quale sparto l'avea perché il fummo ricevessero, io la misi sotto quella scala, sí che ancora ne viene.
[037]
E poi che
Or veggio, donna, quello per che poco avanti, quando ce ne venimmo, tanto tenuti fuor della porta, senza esserci aperto, fummo; ma non abbia io mai cosa che mi piaccia se io non te ne pago!
[039]
Il che la donna udendo, e vedendo che 'l suo peccato era palese, senza alcuna scusa fare levatasi da tavola si fuggí, né so ove se n'andasse.
[040]
[042]
Udendo la
Ecco belle cose! ecco buona e santa donna che costei dee essere! ecco fede d'onesta donna, ché mi sarei confessata da lei, sí spirital mi parea! e peggio, che essendo ella oggimai vecchia dà molto buono essemplo alle giovani!
[044]
Che maladetta sia l'ora che ella nel mondo venne ed ella altressí che viver si lascia, perfidissima e rea femina che ella dee essere, universal vergogna e vitupero di tutte le donne di questa terra: la quale, gittata via la sua onestà e la fede promessa al suo marito e l'onor di questo mondo, lui, che è cosí fatto uomo e cosí onorevole cittadino e che cosí bene la trattava, per un altro uomo non s'è vergognata di vituperare e se medesima insieme con lui.
[045]
Se Dio mi salvi, di cosí fatte femine non si vorrebbe aver misericordia: elle si vorrebbero uccidere, elle si vorrebbon vive vive mettere nel fuoco e farne cenere!
[046]
Poi, del suo amico ricordandosi, il quale ella sotto la cesta assai presso di quivi aveva, cominciò a pregar
Sí, da cena ci ha! noi siamo molto usate di far da cena, quando tu non ci se'! Sí, che io sono la moglie d'
[048]
Avvenne che, essendo la sera certi lavoratori di
[050]
Il quale udendo
Chi è là?
e, corso alla cesta e quella levata, vide il giovinetto, il quale, oltre al dolore avuto delle dita premute dal piè dell'asino, tutto di paura tremava che
Che fai tu qui?
, niente a ciò gli rispose ma pregollo che per l'amor di Dio non gli dovesse far male.
[052]
A cui
Leva sú, non dubitare che io alcun mal ti faccia, ma dimmi come tu se' qui e perché.
[053]
Il giovinetto gli disse ogni cosa; Il qual
[054]
Alla quale
Or tu maladicevi cosí testé la moglie d'
[055]
La
Io ne son molto certa che tu vorresti che fuoco venisse da cielo che tutte ci ardesse, sí come colui che se' cosí vago di noi come il can delle mazze;
[056]
ma alla croce di Dio egli non ti verrà fatto. Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco per sapere di che tu ti ramarichi: e certo io starei pur bene se tu alla moglie d'
[059]
Or non piú, donna; di questo ti contenterò io bene; farai tu gran cortesia di fare che noi abbiamo da cena qualche cosa, ché mi pare che questo garzone altressí, ben com'io, non abbia ancor cenato.
[060]
Certo no
disse la
che egli non ha ancor cenato; ché quando tu nella tua malora venisti ci ponavam noi a tavola per cenare.
[061]
Or va dunque,
disse
fa che noi ceniamo, e appresso io disporrò di questa cosa in guisa che tu non t'avrai che ramaricare.
[062]
La
[063]
Dopo la cena quello che