Novella Quinta

[Voice: filomena]

[001] I fratelli d' Ellisabetta uccidon l'amante di lei: egli l'apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato; ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico; e quivi sú piagnendo ogni dí per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, ed ella se ne muore di dolor poco appresso.

[002] Finita la novella d' Elissa , e alquanto dal re commendata, a Filomena fu imposto che ragionasse: la quale, tutta piena di compassione del misero Gerbino e della sua donna, dopo un pietoso sospiro incominciò.

[003] La mia novella, graziose donne, non sarà di genti di sí alta condizione, come costor furono de' quali Elissa ha raccontato, ma ella per avventura non sarà men pietosa: ea ricordarmi di quella mi tira Messina poco innanzi ricordata, dove l'accidente avvenne.

[004] Erano adunque in Messina tre giovani fratelli e mercatanti, e assai ricchi uomini rimasi dopo la morte del padre loro, il quale fu da San Gimignano ; e avevano una loro sorella chiamata Elisabetta , giovane assai bella e costumata, la quale, che che se ne fosse cagione, ancora maritata non aveano. [005] E avevano oltre a ciò questi tre fratelli in uno lor fondaco un giovinetto pisano chiamato Lorenzo , che tutti i lor fatti guidava e faceva, il quale, essendo assai bello della persona e leggiadro molto, avendolo piú volte Lisabetta guatato, avvenne che egli le incominciò stranamente a piacere. Di che Lorenzo accortosi e una volta e altra, similmente, lasciati suoi altri innamoramenti di fuori, incominciò a porre l'animo a lei; e sí andò la bisogna che, piacendo l'uno all'altro igualmente, non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che piú disiderava ciascuno.

[006] E in questo continuando e avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero sí segretamente fare che una notte, andando Lisabetta là dove Lorenzo dormiva, che il maggior de' fratelli , senza accorgersene ella, non se ne accorgesse. Il quale, per ciò che savio giovane era, quantunque molto noioso gli fosse a ciò sapere, pur mosso da piú onesto consiglio, senza far motto o dir cosa alcuna, varie cose fra sé rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina seguente trapassò. [007] Poi, venuto il giorno, a' suoi fratelli ciò che veduto aveva la passata notte d' Elisabetta e di Lorenzo raccontò; e con loro insieme, dopo lungo consiglio, diliberò di questa cosa, acciò che né a loro né alla sirocchia alcuna infamia ne seguisse, di passarsene tacitamente e d'infignersi del tutto d'averne alcuna cosa veduta o saputa infino a tanto che tempo venisse nel quale essi, senza danno o sconcio di loro, questa vergogna, avanti che piú andasse innanzi, si potessero torre dal viso.

[008] E in tal disposizion dimorando, cosí cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano avvenne che, sembianti faccendo d'andare fuori della città a diletto tutti e tre, seco menaron Lorenzo ; e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro, Lorenzo , che di ciò niuna guardia prendeva, uccisono e sotterrarono in guisa che niuna persona se n'accorse. [009] E in Messina tornatisi dieder voce d'averlo per loro bisogne mandato in alcun luogo; il che leggiermente creduto fu, per ciò che spesse volte eran di mandarlo attorno usati.

[010] Non tornando Lorenzo , e Lisabetta molto spesso e sollecitamente i fratei domandandone, sí come colei a cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella molto instantemente, che l'uno de' fratelli le disse: Che vuol dir questo? che hai tu a far di Lorenzo , ché tu ne domandi cosí spesso? Se tu ne domanderai piú, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene . [011] Per che la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che, senza piú domandarne si stava, e assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse; e alcuna volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e senza punto rallegrarsi, sempre aspettando si stava.

[012] Avvenne una notte che, avendo costei molto pianto Lorenzo che non tornava ed essendosi alla fine piagnendo addormentata, Lorenzo l'apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato e co' panni tutti stracciati e fracidi: e parvele che egli dicesse: [013] O Lisabetta, tu non mi fai altro che chiamare e della mia lunga dimora t'atristi, e me con le tue lagrime fieramente accusi; e per ciò sappi che io non posso piú ritornarci, per ciò che l'ultimo dí che tu mi vedesti i tuoi fratelli m'uccisono . E disegnatole il luogo dove sotterato l'aveano, le disse che piú nol chiamasse né l'aspettasse, e disparve.

[014] La giovane destatasi, e dando fede alla visione, amaramente pianse. Poi la mattina levata, non avendo ardire di dire alcuna cosa a' fratelli , propose di volere andare al mostrato luogo e di vedere se ciò fosse vero che nel sonno l'era paruto. [015] E avuta la licenzia d'andare alquanto fuor della terra a diporto, in compagnia d'una che altra volta con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto piú tosto poté là se n'andò; e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la terra quivi cavò; né ebbe guari cavato, che ella trovò il corpo del suo misero amante in niuna cosa ancora guasto né corrotto; per che manifestamente conobbe essere stata vera la sua visione. [016] Di che piú che altra femina dolorosa, conoscendo che quivi non era da piagnere, se avesse potuto volentier tutto il corpo n'avrebbe portato per dargli piú convenevole sepoltura; ma, veggendo che ciò esser non poteva, con un coltello il meglio che poté gli spiccò dallo 'mbusto la testa, e quella in uno asciugatoio inviluppata e la terra sopra l'altro corpo gittata, messala in grembo alla fante, senza essere stata da alcun veduta, quindi si dipartí e tornossene a casa sua.

[017] Quivi con questa testa nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un grande e un bel testo, di questi ne' quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messavi sú la terra, sú vi piantò parecchi piedi di bellissimo basilico salernetano, e quegli da niuna altra acqua che o rosata o di fior d'aranci o delle sue lagrime non innaffiava giammai. [018] E per usanza avea preso di sedersi sempre a questo testo vicina, e quello con tutto il suo disidero vagheggiare, sí come quello che il suo Lorenzo teneva nascoso: e poi che molto vagheggiato l'avea, sopr'esso andatasene, cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea.

[019] Il basilico, sí per lo lungo e continuo studio, sí per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta che dentro v'era, divenne bellissimo e odorifero molto; e servando la giovane questa maniera del continuo, piú volte da' suoi vicin fu veduta. [020] Li quali, maravigliandosi i fratelli della sua guasta bellezza e di ciò che gli occhi le parevano della testa fuggiti, il disser loro: [021] Noi ci siamo accorti, che ella ogni dí tiene la cotal maniera . Il che udendo i fratelli e accorgendosene, avendonela alcuna volta ripresa e non giovando, nascosamente da lei fecero portar via questo testo; il quale, non ritrovandolo ella, con grandissima instanzia molte volte richiese, e non essendole renduto, non cessando il pianto e le lagrime, infermò, né altro che il testo suo nella infermità domandava. [022] I giovani si maravigliavan forte di questo adimandare e per ciò vollero vedere che dentro vi fosse; e versata la terra, videro il drappo e in quello la testa non ancor sí consumata che essi alla capellatura crespa non conoscessero lei esser quella di Lorenzo . [023] Di che essi si maravigliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse: e sotterrata quella, senza altro dire, cautamente di Messina uscitisi e ordinato come di quindi si ritraessono, se n'andarono a Napoli .

[024] La giovane non restando di piagnere e pure il suo testo adimandando, piagnendo si morí; e cosí il suo disavventurato amore ebbe termine. Ma poi a certo tempo divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcuno che compuose quel la canzone la quale ancora oggi si canta, cioè:

[025] Quale esso fu lo malo cristiano, che mi furò la grasta, et cetera.