Conclusione
[Voice: author]
[001]
Zefiro
era levato per lo sole che al ponente s'avvicinava, quando il
re
, finita la sua novella né alcuno altro restandogli a dire, levatasi la corona di testa, sopra il capo la pose alla
Lauretta
, dicendo:
Madonna, io vi corono di voi medesima reina della nostra brigata; quello omai che crederete che piacer sia di tutti e consolazione, sí come donna, comanderete;
e riposesi a sedere.
[002]
La
Lauretta
, divenuta reina, si fece chiamare il siniscalco, al quale impose che ordinasse che nella piacevole
valle
alquanto a migliore ora che l'usato si mettesser le tavole, acciò che poi adagio si potessero al
palagio
tornare; e appresso ciò che a fare avesse, mentre il suo reggimento durasse, gli divisò.
[003]
Quindi, rivolta alla compagnia, disse:
Dioneo
volle ieri che oggi si ragionasse delle beffe che le donne fanno a' mariti; e, se non fosse ch'io non voglio mostrare d'essere di schiatta di can botolo che incontanente si vuol vendicare, io direi che domane si dovesse ragionare delle beffe che gli uomini fanno alle lor mogli.
[004]
Ma, lasciando star questo, dico che ciascun pensi di
dire di quelle beffe che tutto il giorno, o donna ad uomo, o uomo a donna, o l'uno uomo all'altro si fanno
; e credo che in questo sarà non men di piacevole ragionare, che stato sia questo giorno;
e cosí detto, levatasi in piè, per infino ad ora di cena licenziò la brigata.
[005]
Levaronsi adunque le donne e gli uomini parimente, de' quali alcuni scalzi per la chiara acqua cominciarono ad andare, e altri tra' belli e diritti alberi sopra il verde prato s'andavano diportando.
[006]
Dioneo
e la
Fiammetta
gran pezza cantarono insieme d'
Arcita
e di
Palemone
: e cosí, vari e diversi diletti pigliando, il tempo infino all'ora della cena con grandissimo piacer trapassarono. La qual venuta e lungo al
pelaghetto
a tavola postisi, quivi al canto di mille uccelli, rinfrescati sempre da un'aura soave che da quelle montagnette dattorno nasceva, senza alcuna mosca, riposatamente e con letizia cenarono.
[007]
E levate le tavole, poi che alquanto la
piacevol valle
ebber circuita, essendo ancora il sole alto a mezzo vespro, sí come alla loro
reina
piacque, in verso la loro usata dimora con lento passo ripresero il cammino; e motteggiando e cianciando di ben mille cose, cosí di quelle che il dí erano state ragionate come d'altre, al
bel palagio
assai vicino di notte pervennero.
[008]
Dove con freschissimi vini e con confetti la fatica del picciol cammin cacciata via, intorno della
bella fontana
di presente furono in sul danzare, quando al suono della cornamusa di
Tindaro
e quando d'altri suon carolando.
[009]
Ma alla fine la
reina
comandò a
Filomena
che dicesse una canzone, la quale cosí incominciò:
[010]
Deh lassa la mia vita!
Sarà giammai ch'io possa ritornare
donde mi tolse noiosa partita?
[011]
Certo io non so, tanto è 'l disio focoso
che io porto nel petto,
di ritrovarmi ov'io lassa già fui.
O caro bene, o solo mio riposo,
che 'l mio cuor tien distretto,
deh dilmi tu, ché domandarne altrui
non oso, né so cui.
deh, signor mio, deh fammelo sperare
sí ch'io conforti l'anima smarrita.
[012]
Io non so ben ridir qual fu 'l piacere
che sí m'ha infiammata,
ché io non trovo dí né notte loco.
perché l'udire e 'l sentire e 'l vedere
con forza non usata
ciascun per sé accese novo foco,
nel qual tutta mi coco;
né mi può altri che tu confortare
o ritornar la virtú sbigottita.
[013]
Deh dimmi s'esser dee, e quando fia,
ch'io ti trovi giammai
dov'io baciai quegli occhi che m'han morta;
dimmel, caro mio bene, anima mia,
quando tu vi verrai, e, col dir
Tosto
alquanto mi conforta.
Sia la dimora corta
d'ora al venire, e poi lunga allo stare,
ch'io non men curo, sí m'ha Amor ferita.
[014]
Se egli avvien che io mai piú ti tenga,
non so s'io sarò sciocca,
com'io or fui, a lasciarti partire.
Io ti terrò, e che può sí n'avenga;
e della dolce bocca
convien ch'io sodisfaccia al mio disire.
D'altro non voglio or dire.
dunque vien tosto, vienmi ad abracciare
che 'l pur pensarlo di cantar m'invita.
[015]
Estimar fece questa canne a tutta la brigata che nuovo e piacevole amore
Filomena
strignesse; e per ciò che per le parole di quella pareva che ella piú avanti che la vista sola n'avesse sentito, tenendonela piú felice, invidia per tali vi furono le ne fu avuta. Ma poi che la sua canzon fu finita, ricordandosi la
reina
che il dí seguente era venerdí, cosí a tutti piacevolmente disse:
[016]
Voi sapete, nobili donne e voi giovani, che domane è quel dí che alla passione del nostro Signore è consecrato, il qual, se ben vi ricorda, noi divotamente celebrammo, essendo reina
Neifile
, e a' ragionamenti dilettevoli demmo luogo, e il simigliante facemmo del sabato subsequente.
[017]
Per che, volendo il buono essemplo datone da
Neifile
seguitare, estimo che onesta cosa sia, che domane e l'altro dí, come i passati giorni facemmo, dal nostro dilettevole novellare ci asteniamo, quello a memoria riducendoci che in cosí fatti giorni per la salute delle nostre anime addivenne.
[018]
Piacque a tutti il divoto parlare della loro
reina
, dalla quale licenziati, essendo già buona pezza di notte passata, tutti s'andarono a riposare.